Livio SenigalLiesi

Inizia la carriera di fotogiornalista alla fine degli anni ’70 dedicandosi ai grandi temi della realtà italiana usando la fotocamera come strumento di analisi sociale.
Dopo anni di militanza nel collettivo del quotidiano il Manifesto, negli anni ’80 amplia il raggio delle collaborazioni e rivolge sempre di più la sua attenzione all’attualità internazionale pubblicando ampi reportage sulle maggiori testate nazionali ed estere.
La passione per la fotografia intesa come testimonianza e l’attenzione ai fatti storici di questi ultimi decenni l’hanno portato su fronti caldi come il Medio-Oriente, Kuwait e Kurdistan durante la guerra del Golfo, nella Berlino della divisione e della riunificazione, a Mosca durante i giorni del golpe che sancirono la fine dell’Unione Sovietica, a Sarajevo ha vissuto tra la gente l’assedio più lungo della Storia.

E’ stato testimone delle atroci conseguenze di guerre e genocidi in Africa, America Latina e sud-est asiatico. Negli ultimi anni si è dedicato alla documentazione delle migrazioni e insegna in facoltà universitarie e scuole di giornalismo.

Ha ricevuto importanti riconoscimenti ed è autore di numerosi libri.

Effetti collaterali

Come raccontare la guerra? In che modo descrivere i conflitti di ieri e di oggi, dove a morire non sono più solo i soldati ma soprattutto i civili, gli inermi, gli innocenti?

Quando i rancori del passato si sommano a quelli del presente, quando ingiustizie economiche e politiche si confondono con odi etnici, religiosi, tribali o con gli interessi delle multinazionali, i motivi dei conflitti divengono simili a matasse inestricabili che si perdono tra gli errori e gli orrori degli uni e degli altri.

In tutto questo anche i media hanno una grave responsabilità. Per anni, televisioni e giornali ci hanno disinformato e plagiato rendendoci digeribili “guerre umanitarie” e bombe intelligenti. Per controllare le masse, l’immaginario collettivo deve essere normalizzante, rassicurante. Trionfa il pensiero unico. La verità fa male.

Nell’epoca del giornalismo <embedded>, le stragi di civili sono diventate “effetti collaterali”. 

In questo mondo che corre veloce senza approfondire criticamente i fatti, ho scelto di viaggiare in direzione ostinata e contraria. Le immagini di questa mostra, scattate nell’arco di tre decenni in 4 continenti sono un atto di testimonianza e di denuncia. 

Sono immagini vere e per questo “scomode” perché vogliono alimentare in noi la memoria ed una coscienza critica contro la guerra.

Sono fotografie scattate da vicino, stando in mezzo alla gente che soffre, condividendo i pericoli, il freddo, la fame, percorrendo gli stessi sentieri di fuga, consumando le suole delle scarpe secondo le regole del buon giornalismo, tornando negli stessi luoghi per anni per documentare i cambiamenti o per raccogliere le storie dei sopravvissuti.

Le fotografie sono state scattate in Iraq, Afghanistan, Kosovo, Caucaso, Vietnam, Cambogia, Congo, Palestina, Kashmir, Kurdistan, Libano, Ruanda, Bosnia, Uganda, Guatemala, Mozambico, Ukraina.

A tutti questi argomenti, ho recentemente dedicato un libro di memorie “Diario dal fronte” che è diventato un potente strumento didattico, adottato nelle scuole e nelle università quale libro di testo.